Percorso guidato

I Catasti di Verona tra Otto e Novecento

Autore

Michele De Mori

Introduzione

L’attuale catasto in vigore sul territorio italiano è frutto di un lungo e complesso percorso che ha attraversato i secoli e le diverse amministrazioni che si sono succedute nel tempo, trovando origini diverse nelle varie zone del nostro Paese.

Nato come “inventario generale dei beni immobili, contenente le particolarità relative alla consistenza e alla rendita censuaria dei beni stessi e alle persone o enti che ne hanno la proprietà e il possesso” (Treccani), è diventato uno strumento di grande importanza per lo studio e l’analisi del territorio grazie alle varie cartografie che lo compongono e alle minuziose informazioni che riporta.

Importante ricordare come la realizzazione di un catasto preveda tre importanti fasi:
1) la formazione, ossia tutte quelle operazioni preliminari quali i rilievi del territorio e la prima raccolta dei dati;
2) l’attivazione, cioè la stesura degli strumenti d’impianto (mappe, registri, tavole censuarie), la loro approvazione ed il conseguente avvio del catasto;
3) la conservazione, ossia tutte quelle operazioni necessarie a mantenere il catasto aggiornato.

Per Verona, così come per buona parte del nord Italia, l’origine di un moderno catasto di tipo geometrico particellare è da ritrovarsi nel Catasto Teresiano o Milanese, ordinato nel 1714 dall’Imperatore Carlo VI per il Ducato di Milano. Questo strumento di censimento del territorio a fini fiscali è, infatti, il primo che presenta informazioni sia di natura geometrica, attraverso la topografia e la consistenza dei beni, sia di tipo tecnico economiche relative all’elemento inventariato, ossia la “particella catastale”, detta anche “mappale”, poiché rappresentata in mappa con un numero univoco.

Con la costituzione della Giunta per il Censimento nel 1718, presero avvio le operazioni di preparazione di questo moderno catasto: nel 1723 venne avviato il censimento del territorio, mentre nel 1726 furono pubblicate le tariffe di stima dei beni. Le operazioni, non di facile e veloce realizzazione, furono interrotte a causa della Guerra di Successione Austriaca (1740-1748) scatenatasi alla morte di Carlo VI. Ripresero solo con la salita al trono di Maria Teresa d’Asburgo e l’incarico ad una nuova Giunta nel 1749. Il catasto milanese venne attivato il 1 gennaio 1760.

Il Catasto Napoleonico

Nel frattempo a Verona, in quanto parte della Repubblica di Venezia, la tassazione avveniva mediante le polizze d’estimo, con le quali i cittadini stessi denunciavano il proprio reddito. Queste non prevedevano alcuna rappresentazione grafica ma una descrizione sintetica dei beni, dove erano fornite informazioni sulla qualità del terreno, sugli stabili presenti, le sue dimensioni ed eventuali affitti.

Alla fine del Settecento, con la caduta della Serenissima, il sistema amministrativo del territorio veronese cambiò radicalmente. Verona si trovò al centro del conflitto tra Francia ed Austria, contesa da entrambe le parti, trovando stabilità solo nel 1805 quando il Veneto fu annesso al Regno d’Italia napoleonico.

Pochi anni prima, con la proclamazione della Repubblica Italiana, era stato esteso a tutto il suo territorio l’utilizzo di misure uniformi in tutti i settori: “Evvi in tutta la repubblica uniformità di pesi, di misure, di monete, di leggi criminali e civili, di catasto prediale, e di sistema di pubblica istruzione elementare” (Costituzione della Repubblica Italiana, 26 gennaio 1802, art. 120). Decisione confermata anche a seguito dell’incoronazione di Napoleone e la conseguente trasformazione della Repubblica in Regno. Presero così avvio le iniziative per un catasto unitario, usando come base quanto già impostato per il Catasto Milanese, mantenendo quindi un sistema di tipo geometrico particellare.

Con decreto del 12 gennaio 1807, a firma di Napoleone, venne stabilito l’avvio ai lavori per il Catasto generale del Regno (titolo VII, art. 37), uniformandone le misure a quanto prescritto nella legge del 27 ottobre 1803, come richiesto dalla Costituzione. Con successivo decreto del 13 aprile 1807 vennero pubblicate le “regole da osservarsi generalmente per la misura de’ terreni, formazione delle mappe (art. 1-26) e de’ sommarioni (art. 27-40)” nel quale sono riportati anche i modelli da compilare per la realizzazione di questi ultimi. Inoltre ogni comune doveva disporre di una mappa topografica del proprio territorio. Successivamente, con Decreto Reale del 10 febbraio 1809, furono indicate le modalità di denuncia delle proprietà e, in particolare al Titolo I, art. 5, fissato quale termine ultimo per la loro presentazione il primo maggio 1809.

Questi decreti furono integrati con le note operative necessarie all’avvio della campagna di rilievo del territorio attraverso le “Istruzioni della Direzione Generale del Censo ai Geometri incaricati della misura dei terreni e formazione delle mappe e dei sommarioni”, pubblicate in una prima edizione nel marzo 1810 per essere presto aggiornate e riviste nell’aprile 1811.

A Verona, il 10 ottobre 1812, fu pubblicato un avviso, a firma del delegato Presidente della Commissione Censuaria Moschini, portando la data ultima per le denunce a fine novembre 1812. In questo periodo era anche stato avviato il rilievo del territorio veronese, uno degli ultimi ad essere censito. Le operazioni, infatti, avevano preso il via nel 1808 sul territorio veneziano, nel trevigiano e nel Friuli, ai quali presto si aggiunse la provincia di Padova; nel 1810 iniziò il censimento delle provincie di Belluno, Vicenza e parte del Polesine. Lo sforzo fu notevole: nel 1811 erano arruolati ben 184 geometri censuari operanti in cinque provincie contemporaneamente.

Tornando a Verona, nel febbraio del 1814, a seguito dell’entrata in città delle truppe austriache le operazioni del catasto vennero interrotte. Gli austriaci, però, consapevoli dell’enorme lavoro intrapreso dai francesi, nonché della sua importanza, ne decretarono la continuazione. Tra il 1814 e il 1816 si proseguì quindi con la redazione delle mappe, sotto la direzione dell’ispettore censuario Gaetano Bellati con la collaborazioni di diversi geometri censuari. La conclusione della stesura avvenne, per il territorio corrispondente all’attuale comune di Verona, tra l’autunno del 1815 e l’estate del 1816, sotto il Regno Lombardo Veneto.

Le mappe, che per prime descrivono in modo geometrico e con grande dettaglio il territorio veronese, furono realizzate in scala 1:1000 per i centri urbani e 1:2000 per la campagna. Ad ogni comune censuario corrispondeva un foglio unico che poteva raggiungere anche diversi metri di lato. Per ovviare alla conseguente difficoltà di consultazione, furono realizzate le cosiddette “mappette” o “mappine”, ossia una riduzione degli originali ad una scala che poteva variare da 1.2000 a 1.8000 a seconda della densità abitativa.

Attualmente i grandi fogli originali, ed i sommarioni, sono conservati presso l’Archivio di Stato di Venezia; l’Archivio di Stato di Verona conserva, invece, 166 mappette relative ai comuni della provincia veronese. Mappette di più ridotta dimensione sono conservate anche presso l’Archivio Generale e la Biblioteca Civica di Verona; in entrambi i casi comprendono solo l’ambito interno alle mura. Interessante la copia conservata in Biblioteca che, oltre ad essere suddivisa in fogli secondo le parrocchie, presenta i numeri civici napoleonici aggiunti a penna rossa.

Il Castasto Austriaco

Il lavoro avviato dai francesi fu confermato il 23 dicembre 1817 con la pubblicazione della regia patente di Francesco I d’Austria “prescrivente il sistema di contribuzione fondiaria in tutte le provincie tedesche ed italiane", che richiamava ai principi del censo teresiano per Lombardia e Veneto. Fu, inoltre, ordinata la creazione in tutto l'impero di una "mappa per ogni comune, in cui si rappresentino graficamente nella posizione topografica, nella forma geometrica e nella scala stabilita, la dimensione, i confini, ogni singola superficie fondiaria all'interno d'ogni singolo comune, secondo i differenti generi di coltura, di proprietario, di confini naturali ed artificiali”.

Da sottolineare come l’8 agosto dello stesso anno venivano pubblicate le mappe e dei sommarioni napoleonici, ossia la loro esposizione in ogni comune per tre mesi consecutivi, al fine di raccogliere i reclami dei possessori e procedere ad eventuali correzioni.

Nel 1818 fu costituita una nuova Giunta del censimento per sovraintendere le operazioni di stima, affidandole a Delegazioni censuarie elettive ed a Commissari stimatori governativi. Per il territorio dell’attuale comune di Verona la campagna censuaria si svolse a più riprese tra il 1828 e il 1834. Questi aggiornamenti, inizialmente registrati sulle mappe napoleoniche, servirono da base per la nuova cartografia in preparazione. Questa, infatti, riprendeva il precedente rilievo napoleonico aggiornandolo con “rettificazione di misura” sia per i terreni che per i fabbricati, mantenendo lo stesso numero di particella; solo per la città di Verona intra moenia fu proposta una nuova numerazione.

Le mappe vennero “vistate per la pubblicazione e preventivo esame dei Possessori” in data 10 maggio 1842 (quelle di Verona città portano la data del 16 maggio) dal Capo del Collegio Peritale dell’I.R. Giunta del Censimento, ing. Zerbi. Queste mappe, oggi conservate presso l’Archivio di Stato di Verona, rappresentano un’importante testimonianza del passaggio tra i due catasti. La loro dimensione venne notevolmente ridotta a fogli di 100x65 cm. da affiancare tra loro, risultando quindi molto più maneggevoli.

Con le mappe furono pubblicate anche le tariffe, alle quali solo le amministrazioni pubbliche potevano presentare ricorso.
Dal 6 giugno al 6 agosto 1842 mappe e registri furono esposti pubblicamente, invitando gli aventi diritto a prenderne visione e presentare eventuali reclami (Notifica n. 27332 del 16/03/1842).

Risolte le controversie, le tariffe d’estimo vennero approvate dalla I.R. Giunta del Censimento con decreto del 18 gennaio 1847 n. 37875/38642; le mappe con decreto del 10 novembre 1847 n. 39879. Infine, con notificazione del 18 aprile 1849, n. 42417, si procedette alla “attuazione del nuovo censimento nelle provincie di Treviso, Verona e Belluno”. Le pratiche per l’attivazione iniziarono il primo giugno 1849 con l’esposizione al pubblico della documentazione definitiva, disponibile fino al 31 luglio dello stesso anno, in modo da rendere noto le risposte ai reclami. Con il primo agosto si potevano presentare le petizioni per i trasporti delle particelle ad eventuali nuovi proprietari, dando quindi avvio alla modifica delle intestazioni (Titolo IV, punto 25) e quindi alla compilazione dei nuovi sommarioni. Questi sono oggi conservati presso l’Archivio di Stato di Verona.

Le mappe erano poi sottoposte a periodiche lustrazioni nelle quali, per evidenziarne i cambiamenti avvenuti dopo l’attivazione del Censo Stabile, i nuovi mappali o i frazionamenti venivano indicati con linee e lettere di colore rosso. Per Verona si registrano almeno tre lustrazioni territoriali, tutte indicate nei sommarioni, eseguite negli anni 1851 (registrata nel 1853); 1856 (registrata nel 1857); 1864 (registrata nel 1865).

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Il Catasto Italiano

Il 17 marzo 1861 venne proclamato il Regno d’Italia e si rese da subito necessaria una politica comune in materia fiscale; basti pensare che, al momento dell'unificazione, i catasti ufficiali in vigore erano 24 e di questi solo 15 erano di tipo geometrico-particellare.

Con Decreto 11 agosto 1861 venne istituita un'apposita commissione per definire le basi dell'imposta fondiaria nelle varie province del Regno al fine di conseguire un'equa ripartizione. I lavori della commissione portarono alla legge sul conguaglio provvisorio, la n. 1831 del 14 luglio 1864, che si basava sul valore di mercato degli edifici e dei terreni. Vista, però, la complessità di definire un catasto fondiario unitario, ed i lunghi tempi per la sua realizzazione, si optò per risolvere da subito il problema della perequazione dei fabbricati separandone l'imposta da quella sui terreni attraverso la Legge n. 2136 del 26 gennaio 1865. Questa legge segnò l’avvio della scissione tra gli immobili urbani (fabbricati) e quelli rurali (terreni) portando alla creazione del catasto dei fabbricati, così come espresso nella Legge 11 agosto 1870, n. 5784 (Allegato G, art. 3). Fino a questo momento, infatti, terreni e fabbricati, erano indicati (almeno per il Catasto Austriaco) all’interno degli stessi sommarioni.

Nel frattempo, il 16 ottobre 1866 le truppe italiane entravano a Verona attraverso Porta Vescovo. La città diventava così parte del nuovo Regno, assumendone anche la normativa e le leggi fiscali.

Il percorso per la formazione di un Catasto Urbano, relativo ai fabbricati, si concretizzò con il Regio Decreto 5 giugno 1871, n. 267, con il quale veniva approvato il regolamento per la formazione del catasto dei fabbricati, comprensivo dei modelli da utilizzare per i nuovi registri delle partite. A queste istruzioni fecero seguito, in data 25 marzo 1874, quelle relative alla formazione delle mappe urbane e quelle per la formazione dei registri delle partite dei possessori, il 26 ottobre 1874, che contenevano anche i modelli da utilizzarsi. Mentre, con R.D. 24 agosto 1877, n. 4024, venne disciplinata l'imposta sui fabbricati portando allo stralcio dei loro estimi dai catasti nel quale erano precedentemente inseriti (capitolo X). Nel veronese, a seguito di questi regolamenti, nel 1878 i fabbricati vennero levati dai vecchi sommarioni austriaci e trasportati nei nuovi registri delle partite del Catasto Urbano, costituendone così l’impianto. Le partite relative ai terreni continuarono, invece, ad essere aggiornate all’interno dei vecchi registri austriaci. Come cartografia venivano mantenute le mappe austriache, condivise con i terreni e periodicamente aggiornate. I registri e le mappe sono depositati presso l’Archivio di Stato di Verona. Al settore Patrimonio e all’Archivio Generale del Comune di Verona sono conservate altre copie delle mappe austro-italiane, aggiornate indicativamente agli ultimi decenni dell’Ottocento.

Il riordinamento dell'imposta fondiaria trovò concretezza nella Legge 1 Marzo 1886, n. 3682, detta Legge Messedaglia, che definì in tutto il Regno la formazione di un catasto geometrico particellare uniforme fondato sulla misura e sulla stima. La cartografia del nuovo catasto, per accelerare i tempi, doveva utilizzare quale base le mappe già esistenti e adattarle (art. 3); a tale scopo con D.M. 26 luglio 1886 venne istituita una commissione tecnico amministrativa per valutare quali fossero quelle compatibili e utilizzabili. Con R.D. 2 agosto 1887, n. 4871, fu approvato il regolamento operativo per l’esecuzione della Legge Messedaglia. Furono inoltre istituiti i nuovi compartimenti catastali del Regno, con R.D. 20 settembre 1887, n. 4959, nei quali la provincia di Verona, come in passato, trovava sede presso la Direzione di Milano.

Nel frattempo che prendeva vita il Nuovo Catasto Terreni, anche il Catasto Urbano venne aggiornato attraverso la revisione generale dei redditi dei fabbricati, secondo le istruzioni stabilite nel dettaglio dalla Legge 11 luglio 1889, n. 6214. Questo aggiornamento è ben identificabile nei registri delle partite come “Revisione generale 1890”.

Sempre nel 1889 furono pubblicate le istruzioni “per la formazione delle mappe catastali e per l’impiego dei relativi segni convenzionali” a cura della Giunta superiore per il Catasto, dando così avvio ai rilevamenti del territorio (Istruzione IV, 15 aprile 1889), che venne diviso in sezioni (art. 11). Per l’attuale Comune di Verona la compilazione avvenne dal 1892 al 1898 a seconda delle zone.

Nel marzo del 1900 vennero pubblicate le “mappe provvisorie e non ancora attivate” nelle quali furono definite le nuove sezioni catastali e le numerazioni delle particelle. Queste mappe, conservate presso gli uffici del Settore Patrimonio del Comune di Verona, sono di particolare interesse poiché presentano a stampa i nuovi numeri, a lato dei quali sono riportati a penna i precedenti austriaci (ossia ancora napoleonici per le aree fuori le mura).

Con la Legge 26 gennaio 1902, n. 76, venne approvato il regolamento per la conservazione e in data 1 settembre 1906 attivato il Nuovo Catasto Terreni (N.C.T.) per la provincia di Verona, unitamente a quella di Brescia. Come avvenuto quasi trent’anni prima per i fabbricati, furono così sostituiti i vecchi sommarioni austriaci e impiantati i nuovi registri delle partite italiani. Anche questi sono oggi conservati dall’Archivio di Stato di Verona. Diversamente, però, da quanto fatto con i fabbricati nel 1878 - dove era stato mantenuto un collegamento diretto tra i vecchi e i nuovi registri, con esatto riferimento alla pagina di trasporto - in questo caso i nuovi libri delle partite non permettevano di risalire ai precedenti.

Le nuove mappe d’impianto mantenevano la dimensione delle provvisorie, ossia 100x65 cm., che a loro volta si rifacevano a quelle del Catasto Austriaco. Rispetto a quest’ultimo, dove il territorio era diviso in riquadri quadrangolari ed omogenei, nelle italiane la divisione avvenne lungo le strade o elementi di confine, in modo da evitare la presenza di porzioni della stessa particella su più fogli. Di conseguenza, mentre la numerazione austriaca (e napoleonica) presentava un numero univoco per ogni particella in tutto il comune censuario, nel Catasto Italiano il territorio veniva, invece, diviso in sezioni, fogli ed, infine, particelle. A titolo di esempio, nell’ambito di Verona, la sezione A rappresentava la città all’interno delle mura; la sezione B il comune censuario di Santo Stefano (oggi Borgo Trento); la sezione C il comune censuario di Castel San Felice (oggi Borgo Venezia) e così via. Queste mappe, per l’intera provincia di Verona, sono conservate presso l’Agenzia del Territorio di Verona.

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Le operazioni per il Nuovo Catasto Terreni si dimostrarono molto complesse nella loro applicazione: nel 1914, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, risultava accatastato ed in conservazione solo il 43% del territorio nazionale.

Negli anni a seguire furono eseguite diverse verifiche e revisioni come quelle del 1911 e del 1913 per i fabbricati; di quest’ultima si conservano alcune mappe, che riportano la scritta “aggiornata fino al 1913” presso il Settore Patrimonio del Comune di Verona.

Del 1923 è la prima Revisione Generale del Catasto con l’aggiornamento del periodo di riferimento per la determinazione delle tariffe, passando dal 1874-1886 al 1904-1913.

Per il Comune di Verona risultano di grande interesse le mappe che riportano la scritta “aggiornata fino al 1928” conservate negli uffici del Patrimonio. Questa cartografia fu, con molta probabilità, redatta a seguito dell’aggregazione dei comuni più piccoli al capoluogo per effetto del R.D. 16 gennaio 1927, n. 52, e del R.D. 7 aprile 1927, n. 552. Infatti, i territori aggregati sono riportati quali sezioni del comune di Verona. Ad esempio, il comune di San Massimo all’Adige viene identificato con le sezioni S, T, U, V; il comune di San Michele Extra, con la lettera Z. Particolare il caso di Mizzole che, aggregato solo con R.D. 13 luglio 1933, n. 1016, rimarrà autonomo nella denominazione.

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Complice il sempre crescente sviluppo dei centri urbani, si rese necessario intervenire radicalmente sul Catasto Urbano, portando all’istituzione del Nuovo Catasto Edilizio Urbano (N.C.E.U.) con R.D. 13 aprile 1939, n. 652, convertito in Legge 11 agosto 1939, n. 1249. Una delle principali novità fu che il reddito non doveva più essere calcolato esclusivamente sul fabbricato globale, ma sulle singole unità immobiliari urbane che lo componevano (art. 3). Proprio per questo si rese obbligatorio il loro rilievo dettagliato attraverso le planimetrie catastali (art. 7) che dovevano poi essere allegate ad ogni denuncia di variazione.

Il relativo regolamento di attuazione venne approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 1° dicembre 1949, n. 1142, e alla data del primo gennaio 1962 il Nuovo Catasto Edilizio Urbano entrò in conservazione sostituendo definitivamente il precedente (Decreto 4 dicembre 1961 del Ministero delle Finanze). Questo cambiamento interruppe la compilazione dei registri delle partite dei fabbricati, avviata, lo ricordiamo, ancora nel 1878.

Pochi anni prima, nel 1956, dopo 70 anni dalla sua istituzione, anche il Nuovo Catasto Terreni era entrato in conservazione.

Con l’entrata in conservazione dei due catasti, si rese necessario anche aggiornare la cartografia che non era più in grado di relazionarsi con una realtà sempre più complessa e con le nuove entità catastali che erano state introdotte. Così, nel 1970 fu emanata, dalla Direzione generale del Catasto, una nuova Istruzione per la “formazione delle mappe catastali ed impiego dei relativi segni convenzionali”, che faceva seguito a quelle del 1889, del 1915 e del 1942. Le mappe del Catasto Terreni furono radicalmente trasformate eliminando le sezioni e modificando tutti i numeri delle particelle, comportando una non facile gestione con la cartografia dei Fabbricati che venne aggiornata molto più lentamente.

Nel caso del Comune di Verona, con queste nuove mappe, il territorio venne diviso in due parti: nord e sud, parzialmente lungo il corso dell’Adige, per un totale di 402 fogli (148 nord; 254 sud). I nuovi fogli, della dimensione di 100x70 cm. e basati sul rilievo fotogrammetrico, sono la base del catasto attualmente vigente. Se ne conservano diverse copie presso vari Enti tra cui gli uffici del Settore Patrimonio del Comune di Verona.

Nel periodo più recente, con circolare 2/1984 il Nuovo Catasto Edilizio Urbano ottenne piena autonomia rispetto al Nuovo Catasto Terreni, strutturando così definitivamente il rapporto tra i due catasti.

Da questa data il Catasto ha continuato la sua evoluzione, seguendo i principi di meccanizzazione e automazione, con l’istituzione del Catasto dei Fabbricati (C.d.F.) e la possibilità per i liberi professionisti di gestire direttamente le modifiche catastali, precedentemente riservate esclusivamente agli uffici.

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